Nel 1950 venne istituita la Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nel Mezzogiorno d’Italia, più nota come Cassa per il Mezzogiorno, con un programma decennale di investimenti per oltre 1200 miliardi di lire, da destinare a opere di bonifica, alla costruzione di acquedotti, di impianti elettro irrigui, di strade e ferrovie e in generale alle infrastrutture. Secondo le teorie economiche dominanti in quegli anni l’ammodernamento infrastrutturale del territorio costituiva infatti l’indispensabile premessa per un successivo sviluppo industriale. Tutti i provvedimenti sopra citati godettero della copertura finanziaria degli aiuti e dei prestiti americani. Ingenti risorse furono utilizzate per il rafforzamento delle industrie elettrica, chimica, siderurgica e soprattutto per il potenziamento dell’industria automobilistica. Ma nel complesso la parte più cospicua degli aiuti venne destinata all’agricoltura, al risanamento del territorio, alla lotta alla malaria (che venne definitivamente debellata). Tra il 1949 e il 1950, in vista dell’esaurimento del piano Marshall, il governatore della Banca d’Italia, Donato Menichella, contrattò personalmente col presidente della Banca mondiale, Eugene Black, l’erogazione di prestiti per l’attuazione di un organico piano di sviluppo del Sud d’Italia, prestiti che furono alla base proprio dell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Si trattò di una geniale operazione il cui scopo non era soltanto quello di mettere a disposizione risorse per il Mezzogiorno e le Isole, ma soprattutto quello di protrarre oltre la scadenza del Piano Marshall gli aiuti in dollari all’Italia. I grandi investimenti per l’ammodernamento dell’economia comportavano per il nostro paese anche un aumento delle importazioni di materie prime e tecnologie, di cui era deficitario. Grazie agli aiuti americani e soprattutto ai prestiti in dollari fu possibile pagare tali importazioni senza creare squilibri nei conti con l’estero e instabilità monetaria.Le opere pubbliche e infrastrutturali legate all’attuazione del Piano Marshall e del primo programma della Cassa per il Mezzogiorno impegnarono tutte le imprese pubbliche e private italiane, soprattutto quelle localizzate al Nord (ma anche quelle del Centro e del Sud). La Fiat, la Montecatini, la Breda, l’Innocenti, la Pirelli, l’Edison, la Finsider, la principali banche italiane, in quegli anni non solo approvarono i programmi meridionalisti dei governi, ma aderirono anche all’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, lo Svimez.
La legge istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno segna una svolta rispetto alla tradizione di uniformità amministrativa dello Stato unitario e alla concezione, fino ad allora dominante, della questione meridionale, come problema da risolvere essenzialmente attraverso un corretto funzionamento dell’amministrazione ordinaria. La legge, infatti, prevede la formulazione di un piano decennale di “complessi organici di opere straordinarie dirette in modo specifico al progresso economico e sociale dell’Italia meridionale”, affidato per la realizzazione ad un nuovo ente, autonomo e distinto dalla pubblica amministrazione in senso proprio, denominato “Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale” (brevemente “Cassa per il Mezzogiorno”), cui viene assicurato un finanziamento di 1000 miliardi di lire. Gli interventi sono concepiti come aggiuntivi rispetto a quelli della pubblica amministrazione, finanziati sulla base degli annuali stanziamenti di bilancio, ed il nuovo ente si differenzia da quelli tradizionali per la durata poliennale del piano chiamato ad attuare, per l’elasticità nella disponibilità dei fondi, per il suo affrancamento dalle procedure ordinarie di spesa e per la sua competenza intersettoriale.